Il distacco dal riscaldamento centralizzato e la sospensione del servizio ai condòmini morosi?
Relazione tenuta al convegno del 20 settembre 2014 organizzato da ANACI Bolzano
L’articolo 1118 comma IV del Codice Civile, così come introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220 (Riforma del Condominio), ha consentito il distacco di un condomino dall’impianto centrale di riscaldamento ponendo, in modo piuttosto semplicistico, due sole condizioni (assenza di notevoli squilibri di funzionamento e di aggravio di spesa per gli altri condomini) e mostrando, in tal modo, di conoscere poco e male la realtà degli impianti di riscaldamento, provocando così distacchi “mal fatti” e conseguenti liti fra condomini. L’avv. Edoardo Riccio, del Centro Studi ANACI, profondo conoscitore della realtà condominiale, ha raccolto tutte le problematiche segnalate da tecnici impiantisti ed Amministratori di condominio, sottolineando una notevole quantità di aspetti da considerare, per affrontare, ove necessario, il distacco in modo consapevole (n.d.r.).
PREMESSA
Il punto interrogativo nel titolo si impone in quanto, come ci si accorgerà nella lettura delle righe che seguono, molte incertezze si pongono nell’interpretazione della norma in commento. Oltre alla valenza privatistica, la disposizione assume rilevanza pubblicistica atteso il riflesso che essa ha nel contesto legislativo in materia di contenimento dei consumi energetici.
Nel leggere le riflessioni che trovano spazio in queste pagine, si consideri che lo studio della riforma del condominio richiede attenzione e prudente approccio, poiché si è ancora alle prime battute di una elaborazione che sarà certamente complessa.
“Articolo 1118 comma IV Codice Civile, così come introdotto dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”
“Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
IMPIANTO TERMICO
Affrontando il tema del distacco occorre ricordare che lo stesso va ad incidere sull’impianto termico. E’ dunque opportuno delineare i contorni del contesto impiantistico nel quale si interviene.
L’impianto va ad incidere sia sui consumi energetici sia sull’emissione in atmosfera dei prodotti (inquinanti) della combustione. Anche se diversamente, analogo problema si verifica in caso di pompe di calore.
Nelle norme che disciplinano queste materie è possibile rinvenire la definizione che ci interessa.
Nell’articolo 2 comma 1 lettera l-tricies del D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 192 recante disposizioni in materia di rendimento energetico nell’edilizia, si legge quanto segue:
“«impianto termico»: è l’impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolarizzazione e controllo.
Sono compresi negli impianti termici gli impianti individuali di riscaldamento. Non sono considerati impianti termici apparecchi quali: stufe, caminetti, apparecchi di riscaldamento localizzato ad energia radiante; tali apparecchi, se fissi, sono tuttavia assimilati agli impianti termici quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 5 kW.
Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate”.
Da quanto sopra si desume che l’impianto è composto da 4 sottoinsiemi: produzione, distribuzione, regolazione ed emissione. Il primo e buona parte del secondo sono beni comuni ai sensi dell’articolo 1117 comma 1 n. 3 del Codice Civile. La parte terminale della distribuzione, ovvero dal punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, la regolazione del calore e l’emissione dello stesso sono, invece, di proprietà individuale.
L’impianto in esame è forse l’unico in condominio che non termina nell’unità immobiliare. Il fluido termovettore, dal tratto terminale della distribuzione comune (colonna montante che è situata in cavedi o vani tecnici, ovvero “parti comuni dell’edificio”), si immette nella singola unità immobiliare (parte privata) per alimentare il corpo scaldante (di proprietà individuale), rilascia il calore, e utilizzando la distribuzione comune sopra citata, ritorna verso la fonte della produzione per essere nuovamente riscaldato.
I quattro sottosistemi sono legati alle stesse sorti. Non a caso l’articolo 26 comma 5 Legge 10/1991, assegna all’assemblea attribuzioni in materia che vanno ad interessare una parte compresa nelle unità private. D’altro canto, con il nuovo comma IV articolo 1118 c.c. viene indicato un limite all’utilizzo del bene privato atteso il coinvolgimento di parti comuni (la rinunzia al servizio si esplica attraverso un intervento impiantistico di isolamento dalle tubazioni comuni).
E’ forse questo l’”impianto unitario” indicato nel comma 1 n. 3 dell’articolo 1117 del Codice Civile che è comune fino “al punto di utenza”?
IL DISTACCO IN EPOCA ANTECEDENTE LA RIFORMA
Prima di procedere nella disamina della nuova disposizione, appare opportuno ricordare come la materia trovava disciplina antecedentemente il 18 giugno 2013.
Il Legislatore, con la Legge 9 gennaio 1991 n. 10, al fine (tra l’altro) di incentivare la realizzazione di iniziative volte a ridurre il consumo specifico di energia, il miglioramento dell’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti di energia nella climatizzazione degli ambienti, aveva previsto, all’articolo 8 lettera g), la possibilità di trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.
Al fine di incentivare tale operazione, l’articolo 26 comma 2 della stessa legge, nella formulazione originaria del 1991, prevedeva una maggioranza agevolata.
Nel 2006, con il Decreto Legislativo n. 311, all’articolo 26 comma 2 della predetta Legge, è stato eliminato il riferimento all’articolo 8 che, però, non è stato soppresso.
Il Legislatore, tuttavia, non ha mai disciplinato il caso del distacco del singolo condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
A tale lacuna aveva sopperito la giurisprudenza, la quale, con orientamento consolidato, aveva ritenuto che il singolo condomino potesse legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini (Cassazione Civile, Sez. II, 24 luglio 2007, n. 16365).
Il distacco doveva ritenersi consentito nei casi in cui non andasse ad incidere negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune e non determinasse uno squilibrio termico ed un aggravio di spese, da verificarsi caso per caso, per i condomini che avrebbero continuato a servirsi dell’impianto centralizzato (Cassazione Civile, Sez. II, 30 giugno 2006, n. 15079).
La delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, avesse respinto la richiesta di autorizzazione al distacco, era nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune (Cassazione Civile, Sez. II, 30 marzo 2006, n. 7518).
Il distaccato sarebbe però sempre stato obbligato a contribuire alle spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale anche quando avesse rinunziato all’uso dello stesso, essendo in tal caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento delle spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non fosse risultato dal regolamento condominiale (Cassazione Civile, Sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708; Cassazione Civile, Sez. II, 24 luglio 2007, n. 16365). Colui che si era distaccato, infatti, non avrebbe perduto la proprietà dell’impianto, ma si sarebbe limitato a non usufruire più del servizio.
Dall’epoca dei fatti di cui ai casi oggetto di intervento della Suprema Corte, il panorama legislativo era variato in parte.
In recepimento della Direttiva Europea 2002/91/CE, è stato emanato il Decreto Legislativo 19 agosto 2005 n. 192 (successivamente modificato dal D.Lgs. 311/2006 e dalla Legge 90/2013) con il conseguente decreto attuativo D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59 (Regolamento recante attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192).
A seguito della sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, il Legislatore italiano ha dovuto rivedere la propria politica energetica e, tra le altre cose, è intervenuto sul riscaldamento.
L’allegato A (al numero 34) dell’articolo 2 del D.Lgs. 192/2005 definisce nel modo seguente la ristrutturazione di un impianto termico:
“insieme di opere che comportano la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione che di distribuzione ed emissione del calore; rientrano in questa categoria anche la trasformazione di un impianto termico centralizzato in impianti termici individuali nonché la risistemazione impiantistica nelle singole unità immobiliari o parti di edificio in caso di installazione di un impianto termico individuale previo distacco dall’impianto termico centralizzato”.
Tale definizione è pressochè identica a quella contenuta nel D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 (regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia).
Benchè trattasi di definizioni, aiutano a ben comprendere che il legislatore non ha mai considerato (nel 1993 con il D.P.R. 412 come nel 2005 con il D.Lgs 192) il divieto del distacco, nemmeno in un contesto tendente al contenimento dei consumi energetici.
Tuttavia, con il D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59, sono state poste limitazioni. Infatti, all’articolo 4 comma 9, viene disposto che
“in tutti gli edifici esistenti con un numero di unità abitative superiore a 4, e in ogni caso per potenze nominali del generatore di calore dell’impianto centralizzato maggiore o uguale a 100 kW, appartenenti alle categorie E1 ed E2, così come classificati in base alla destinazione d’uso all’articolo 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, è preferibile il mantenimento di impianti termici centralizzati laddove esistenti; le cause tecniche o di forza maggiore per ricorrere ad eventuali interventi finalizzati alla trasformazione degli impianti termici centralizzati ad impianti con generazione di calore separata per singola unità abitativa devono essere dichiarate nella relazione di cui al comma 25”.
Il Consiglio dei Ministri, ha disciplinato così il caso della trasformazione da impianto termico centralizzato con conseguente installazione in ogni unità abitativa di un autonomo generatore di calore. Se esistente, quindi, l’impianto centralizzato va mantenuto.
Si ritiene che la disposizione comprenda anche un caso inferiore, cioè l’abbandono del servizio centralizzato da parte di uno o più condomini, a favore di un impianto autonomo. Infatti, staccatosi un condomino, nulla vieterebbe che se ne distacchino altri, fino ad arrivare, in linea teoricamente possibile, all’abbandono della quasi totalità.
Quindi, a migliore specificazione, il Consiglio dei Ministri ritiene preferibile il mantenimento del centralizzato (da intendersi, quindi, per tutti i condomini). Non vieta in linea di massima il distacco, ma lo subordina alla presenza di cause tecniche o di forza maggiore che devono essere dichiarate nella relazione di cui al comma 25 dello stesso articolo 4.
A decorrere dal 18 giugno 2013, la Riforma del Condominio, introducendo il comma IV all’articolo 1118 del Codice Civile, ha però privato tale norma di efficacia. Non solamente infatti si ricorda che l’articolo 15 delle Disposizioni sulla Legge in generale prevede che le leggi sono abrogate per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, ma occorre anche ricordare che il Decreto del Presidente della Repubblica, anche ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ha natura regolamentare e l’articolo 1 delle stesse Disposizioni, nella gerarchia delle fonti, pone i regolamenti successivamente alle leggi.
IL CONTESTO EUROPEO AL MOMENTO DELL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE 220/2012
L’impianto di riscaldamento pone sulla bilancia, quale contrappeso al comfort generato dal calore, il conseguente consumo energetico e l’emissione in atmosfera dei prodotti (anche inquinanti) della combustione.
Anche in quest’ottica va approfondita la disamina della norma in questione.
Al momento dell’approvazione della Legge 220 del 2012, il panorama europeo e nazionale vedeva un forte impegno per la riduzione del consumo energetico e dell’emissione di gas responsabili del così detto effetto serra.
In questo senso venivano emanate la Direttiva 2010/31/UE del 19 maggio 2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio e la Direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012 del Parlamento e del Consiglio.
Oltre a ciò, il Consiglio Europeo dell’8 e del 9 marzo 2007 ha sottolineato la necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione per conseguire l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico dell’Unione entro il 2020. A tal fine il Parlamento Europeo nella risoluzione del 3 febbraio 2009, ha chiesto di rendere vincolante tale obiettivo di miglioramento dell’efficienza energetica.
Anche sul fronte delle emissioni in atmosfera sono state prese ferme posizioni. Infatti, la decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, fissa obiettivi nazionali vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 per i quali l’efficienza energetica nel settore edilizio riveste importanza cruciale.
Inoltre, l’Unione si trova di fronte a sfide senza precedenti determinate da una maggiore dipendenza dalle importazioni di energia, dalla scarsità di risorse energetiche, nonché dalla necessità di limitare i cambiamenti climatici e di superare la crisi economica. L’efficienza energetica è stata riconosciuta quale valido strumento per affrontare tali sfide.
Le conclusioni del Consiglio Europeo del 4 febbraio 2011 hanno riconosciuto che l’obiettivo di efficienza energetica dell’Unione non è in via di realizzazione e che sono necessari interventi decisi per cogliere le notevoli possibilità di risparmio energetico anche nel settore dell’edilizia.
L’8 marzo 2011 la Commissione ha confermato che l’Unione non è sulla buona strada per conseguire il proprio obiettivo di efficienza energetica.
Le conclusioni del Consiglio del 10 giugno 2011 sul piano di efficienza energetica 2011, hanno sottolineato che gli immobili rappresentano il 40% del consumo finale di energia dell’Unione. Inoltre, gli edifici sono stati ritenuti fondamentali per conseguire l’obiettivo dell’Unione di ridurre dell’80-95% le emissioni di gas serra entro il 2050 rispetto al 1990.
Pertanto, la riduzione del consumo energetico nel settore dell’edilizia costituisce una misura importante e necessaria per ridurre la dipendenza energetica dell’Unione e le emissioni di gas a effetto serra.
Le misure adottate consentirebbero all’Unione di conformarsi al protocollo di Kyoto (del quale l’Italia è Paese sottoscrittore) allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e di rispettare sia l’impegno a lungo termine di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C, sia l’impegno di ridurre entro il 2020 le emissioni globali di gas a effetto serra di almeno il 20% di cui si è fatto cenno.
Un’utilizzazione efficace, accorta, razionale e sostenibile dell’energia riguarda, tra l’altro, i prodotti petroliferi, il gas naturale e i combustibili solidi, che, pur costituendo fonti essenziali di energia, sono anche le principali sorgenti delle emissioni di biossido di carbonio.
In questo contesto, non può sfuggire all’attenzione dell’interprete che il legislatore italiano, nell’introdurre il comma IV all’articolo 1118 del Codice Civile, autorizzando di fatto l’installazione nell’edificio di un ulteriore impianto di riscaldamento in aggiunta a quello centralizzato, ha posto quali condizioni l’assenza di notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, senza porre attenzione alla questione dei consumi energetici ed all’emissione in atmosfera dei prodotti della combustione. Non è cosa nuova, nella Riforma, il richiamo al rispetto della normativa di settore. Si pensi, infatti, all’art. 1120 comma 2 Codice Civile.
Occorrerà pertanto, nella disamina della materia che oggi ci occupa, approfondire la questione alla luce della legislazione vigente ad oggi in materia energetica.
Appare necessario accennare al fatto che il Decreto Legislativo 192/2005 sull’efficienza energetica nell’edilizia è stato modificato successivamente all’entrata in vigore della Riforma, con la Legge 90/2013 (che ha convertito in legge il Decreto Legge 63/2013) proprio in recepimento della Direttiva 2010/31/UE. Inoltre, il D.Lgs. 4 luglio 2014 n. 102 (in recepimento della Direttiva 2012/27/UE che vuole perseguire quegli obbiettivi sopra citati) costituisce un ulteriore intervento legislativo in materia. Nello specifico, l’articolo 9 comma 5 obbliga l’adozione della termoregolazione e contabilizzazione entro il 31 dicembre 2016.
Va però detto che le Direttive che hanno generato i due interventi legislativi erano già note al Legislatore del 2012 che ha autorizzato il distacco dall’impianto centralizzato del riscaldamento.
IL DISTACCO DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DELLA RIFORMA
Ristrutturazione
Prima di addentrarsi nell’esame della questione, occorre ricordare che le norme di riferimento definiscono quale “ristrutturazione” il distacco dall’impianto centralizzato: Allegato A n. 43, D.Lgs. 192/2005 per “«ristrutturazione di un impianto termico», deve intendersi “l’insieme di opere che comportano la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione che di distribuzione ed emissione del calore; rientrano in questa categoria anche la trasformazione di un impianto termico centralizzato in impianti termici individuali nonché la risistemazione impiantistica nelle singole unità immobiliari, o parti di edificio, in caso di installazione di un impianto termico individuale previo distacco dall’impianto termico centralizzato”.
Dalla definizione emerge l’importanza che il Legislatore riconosce a tale intervento.
Il notevole squilibrio
Accertato che è diritto del condomino di procedere al distacco dal riscaldamento centralizzato, la nuova norma indica quali sono le condizioni affinché tale diritto possa essere esercitato:
- a) l’assenza di notevoli squilibri di funzionamento, o
- b) l’assenza di aggravi di spesa per gli altri condomini.
In presenza anche di uno solo dei casi sopra prospettati, il distacco non potrà avere luogo.
Per quanto attiene allo “squilibrio”, si osservi che l’obiettivo dell’impianto di riscaldamento è quello di raggiungere una temperatura di esercizio sufficientemente omogenea e tale da garantire condizioni di comfort.
Il D.P.R. 74/2013, indica tale temperatura in 20 gradi con una tolleranza in eccesso di 2 gradi. La situazione di equilibrio va non solo raggiunta ma soprattutto mantenuta nel corso di ogni stagione termica con le varie differenze di temperature esterne e diversi assorbimenti delle singole unità abitative. Il predetto punto di equilibrio è difficile da raggiungere e mantenere in assenza di dispositivi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.
Il distacco ad opera di uno o più condomini potrebbe alterare questo delicato equilibrio raggiunto e non è per nulla scontato che possa essere ricostituito. Occorre pertanto valutare caso per caso a seconda dei singoli impianti.
Oltre a quanto sopra, in tema di “squilibrio” si ritiene sia ancora valido il principio affermato in alcune sentenze della Corte di Cassazione secondo la quale nello squilibrio non può essere compreso quello termico: “quale squilibrio termico non deve essere intesa la possibile differente temperatura nell’appartamento distaccato in quanto, in ogni caso, anche senza distaccarsi il proprietario potrebbe sempre semplicemente chiudere i propri radiatori.
Se così non fosse, quel distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato ammesso in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto nell’ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un’altra unità immobiliare, per cui il distacco dall’impianto centralizzato da parte di uno dei condomini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico che, invece, deve essere considerato “irrilevante” (Cassazione Civile, Sez. II, 27.05.2011 n. 11857).
Tale ragionamento della Suprema Corte è destinato a trovare sempre più applicazione quando, dal 1 gennaio 2017, tutti i condomini dotati di riscaldamento centralizzato dovranno ricorrere alla termoregolazione e contabilizzazione ai sensi del D.Lgs. 102/2014 (restano naturalmente fatte salve le norme regionali che anticipano tale obbligo).
L’aggettivo “notevole” lascia però indeterminato il limite della condizione.
Deve quindi ritenersi ammesso lo squilibrio che è tale sino alla soglia del “quasi notevole”. Sarà poi la giurisprudenza a dover precisare se per “notevole” si deve intendere il limite ultimo per il corretto funzionamento (erogazione dei 20 gradi con tolleranza di +2) oppure se occorre fare ricorso ad altre e diverse valutazioni non solo impiantistiche.
Se lo squilibrio può non essere “notevole” con un distacco o due, potrebbe esserlo al terzo o al quarto (dipende dal numero delle unità servite), posto che l’impianto sia stato dimensionato e progettato per servire un determinato numero di unità immobiliari e distribuire una determinata quantità di fluido termovettore.
E’ necessario fare ulteriori riflessioni che, forse, portano a dare una diversa lettura di tale condizione.
A seguito del distacco, in presenza di un impianto in normali condizioni, anche attraverso interventi sulla distribuzione, potrebbe essere possibile modificare il funzionamento in modo da consentire l’erogazione del calore alle altre unità immobiliari.
Anche se ciò avvenisse, è in ogni caso opportuno richiamare in questa sede l’articolo 26 comma 3 della Legge 10/1991 secondo il quale
“gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d’uso, e gli impianti non di processo ad essi associati (l’impianto di riscaldamento è un impianto “non di processo” -ndr-) devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica”.
La norma, quindi, prevede non solo l’obbligatorietà del progetto ma, soprattutto, che lo stesso sia realizzato in modo tale da raggiungere l’obbiettivo di contenere al massimo i consumi sulla base di quanto la scienza e la tecnica, al momento della progettazione, consentono.
Il distacco dall’impianto comporta un sovradimensionamento nel senso che, progettato con una potenza tale da servire un certo numero di unità immobiliari, successivamente ne deve servire una o due o tre (o più ancora) in meno. Riducendo il numero delle unità servite, potrebbe essere sufficiente un impianto meno potente e, quindi, di presumibile minor consumo energetico. Tale possibilità, però, è preclusa in quanto il distaccato conserva la proprietà dell’impianto e la possibilità di riallacciarsi in qualunque momento. Se i condomini procedessero a ridurre la potenza dell’impianto, in caso di riallaccio non sarebbe possibile per lo stesso garantire lo stesso comfort a tutti in quanto non idoneo. Oltre che sovradimensionato, l’impianto avrà anche, presumibilmente, un calo di rendimento.
Il Parlamento Europeo ha dedicato particolare attenzione al rendimento ed al dimensionamento. Infatti, l’articolo 14 della Direttiva 2010/31/UE prevede che gli Stati membri debbano adottare le misure necessarie per prescrivere ispezioni periodiche che devono includere una valutazione del rendimento della caldaia e del suo dimensionamento rispetto al fabbisogno termico dell’edificio.
La valutazione del dimensionamento della caldaia non deve essere ripetuta se nel frattempo non sono state apportate modifiche all’impianto di riscaldamento in questione o con riguardo al fabbisogno termico dell’edificio.
Si ricorda che il distacco è equiparato ad una “ristrutturazione” e, pertanto, richiederebbe tale indagine. Si rinvia a quanto indicato nel punto che segue.
Requisiti minimi delle prestazioni ai fini del contenimento del consumo energetico
Si ricorda che il D.Lgs. 192/2005 prevede, ai fini del contenimento dei consumi energetici, per quanto riguarda i requisiti minimi prestazionali, un’applicazione graduale in relazione al tipo di intervento. A tale fine, è prevista una applicazione limitata al rispetto di specifici parametri, livelli prestazionali e prescrizioni, nel caso di interventi su edifici esistenti, quali, appunto, nuova installazione di impianti termici in edifici esistenti o ristrutturazione degli stessi impianti (articolo 3, comma 2, lettera c numero 2 D.Lgs. 192/2005).
Conseguentemente, l’articolo 4 comma 5 D.P.R. 59/2009, prevede, tra l’altro, che in caso di ristrutturazione di impianti termici o sostituzione di generatori di calore, previsti all’articolo 3, comma 2, lettera c), numeri 2) e 3), del D.Lgs. 192/2005 (secondo il quale, come detto, in questi casi è obbligatorio il rispetto di specifici parametri, livelli prestazionali e prescrizioni), occorre procedere al calcolo del rendimento globale medio stagionale dell’impianto termico e alla verifica che lo stesso risulti superiore al valore limite riportato al punto 5 dell’allegato C al decreto legislativo.
Visto il combinato disposto delle due norme (la seconda attuativa della prima), considerato che la risistemazione impiantistica nella singola unità immobiliare in caso di installazione di un impianto termico individuale previo distacco dall’impianto termico centralizzato è considerato, come detto, ristrutturazione dell’impianto esistente, si sarebbe portati a ritenere che il calcolo del rendimento globale medio stagionale (con conseguente verifica che lo stesso rientri nei parametri di cui al citato punto 5 dell’allegato C del D.Lgs. 192/2005), debba essere effettuato valutando la globalità degli impianti esistenti nell’edificio.
Pertanto, occorrerà considerare l’interazione funzionale tra l’impianto centralizzato ed i singoli impianti termici delle unità immobiliari che vogliono distaccarsi ed il risultato, in termini di prestazioni energetiche, dovrà essere conforme ai limiti previsti dalle norme citate.
Questa attività dovrà essere effettuata ad ogni nuova installazione previo distacco (con costi a carico del distaccante).
Riflessi sull’Attestato di Prestazione Energetica
Il distacco (pur in assenza di nuova installazione di impianto termico individuale) potrebbe anche avere riflessi sull’Attestato di Prestazione Energetica delle altre unità immobiliari non interessate dall’intervento.
Difatti, l’articolo 6 comma 5 del D.Lgs. 192/2005, dopo avere previsto che la validità temporale massima dell’APE è di dieci anni a partire dal suo rilascio, ha altresì precisato che esso deve essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell’edificio o dell’unità immobiliare.
Accertato che la nuova installazione di impianto termico individuale a seguito di distacco è considerata quale “ristrutturazione”, e che per “prestazione” si deve intendere, tra l’altro, la quantità annua di energia primaria effettivamente consumata o che si prevede possa essere necessaria per soddisfare, con un uso standard dell’immobile, i vari bisogni energetici dell’edificio, la climatizzazione invernale, nel caso in cui, a seguito magari non del primo distacco ma, più probabilmente, del secondo o terzo, si dovesse verificare, a causa del sovradimensionamento e del calo di rendimento, la modifica delle prestazioni al punto da comportare il cambio della classe energetica, occorrerà effettuare un nuovo APE (si consideri il caso in cui l’unità immobiliare risulti ai limiti della classe e quindi anche lievi oscillazioni dei rendimenti possono consentire un passaggio).
L’attestato è riferito all’edificio per le nuove costruzioni. Molto più facilmente, per gli edifici esistenti l’APE è riferito alla singola unità immobiliare.
In questo caso, l’attività di distacco di alcuni potrebbe comportare non tanto l’obbligo a carico di altri di effettuare un nuovo APE quanto, soprattutto, il cambio di classe energetica con conseguenze anche economiche sull’unità immobiliare.
Occorrerà valutare come il conseguente deprezzamento delle unità immobiliari soggette a cambio di classe energetica vada ad essere considerato ai fini:
- a) dell’aggravio di spesa a carico degli altri condomini, o
- b) dei notevoli squilibri che, probabilmente, non riguardano solo il funzionamento in senso tecnico ma anche il funzionamento ai fini dei consumi energetici, o
- c) del principio del neminem laedere di cui all’articolo 2043 del Codice Civile.
L’aggravio di spesa
La giurisprudenza precedente alla riforma aveva previsto che il distaccante era tenuto a partecipare alle spese di gestione dell’impianto se e nei limiti in cui il suo distacco non si fosse risolto in una diminuzione degli oneri del servizio (Cassazione Civile, Sez. VI, 03.04.2012, n. 5331).
In questo senso la Cassazione aveva statuito che
“in caso di distacco dal riscaldamento centralizzato, costituisce aggravio di spesa per gli altri condomini il fatto che sia rimasta invariata la quantità di carburante utilizzata dall’impianto condominiale in quanto, non essendovi un risparmio di consumo energetico, dovevano ripartire tra loro il medesimo esborso in precedenza condiviso pro quota anche dal condomino che si è distaccato, subendo così singolarmente un aggravio di spese per la fornitura del carburante” (Cassazione Civile, Sez. II 29.11.2011, n. 25354).
La nuova disposizione di legge, dopo avere precisato che, a seguito del distacco non devono esserci aggravi di spesa a carico degli altri condomini, ha precisato che “il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.”
Occorre quindi analizzare quali sono le singole voci di spesa che il condomino distaccatosi è tenuto a sopportare.
La “manutenzione straordinaria”
In materia di impianti termici trova necessariamente applicazione il D.Lgs. 192/2005 il quale, nell’Allegato A al n. 28, dà la seguente definizione di manutenzione straordinaria dell’impianto termico:
“interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso, in tutto o in parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’impianto termico”.
La “conservazione”
Non esiste una definizione di tale voce. La Giurisprudenza, richiamando anche l’articolo 1104 del codice civile, ritiene che le spese per la conservazione attengono all’integrità del bene e riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per le riparazioni, ed afferiscono all’utilità oggettiva del bene (Cassazione Civile, Sez. II, 25.03.2004 n 5975).
E’ quindi una classificazione più ampia rispetto alla semplice manutenzione ordinaria che, però, deve intendersi ricompresa. Giova anche in questo caso richiamare la definizione che il D.Lgs. 192/2005, nell’Allegato A al n. 27, dà di manutenzione ordinaria dell’impianto termico:
“operazioni previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e componenti che possono essere effettuate in luogo con strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi e componenti stessi e che comportino l’impiego di attrezzature e di materiali di consumo d’uso corrente”. In questa voce dovrebbero intendersi comprese anche le piccole riparazioni.
La “messa a norma”
Si devono intendere tutti quegli interventi sull’impianto termico determinati dall’evoluzione normativa. Tra questi, ad esempio, sicuramente rientra l’obbligo di procedere all’adozione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore imposti da Leggi Regionali e dal D.Lgs. 102/2014 all’articolo 9 comma 5.
Altre spese per il godimento
Resterebbero apparentemente escluse tutte le spese per il godimento del bene diverse dal prelievo del calore all’interno della singola unità immobiliare le quali, attenendo all’uso delle cose comuni, scaturiscono da un fatto soggettivo, personale e mutevole.
Tali voci sono, ad esempio, l’energia elettrica necessaria per la produzione e la distribuzione del calore e l’energia prodotta e non utilizzata consistente nella spesa per il consumo involontario di energia termica utile (calore perso principalmente nel sistema di distribuzione fino al punto di distacco delle tubazioni). A queste voci dovrebbe essere aggiunta anche quella riferita al terzo responsabile.
Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza 30 aprile 2014 n. 9526 la quale, benchè tratti un caso verificatosi antecedentemente l’entrata in vigore della Riforma del Condominio, ha tuttavia ad essa fatto cenno.
Si legge, in motivazione, che
“questa Corte ha ripetutamente (cfr. Cass. 30.3.2006, n. 7518; 25.3.2004, n. 5974; 2.7.2001, n. 8924), affermato che il condomino, può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, tuttavia, permane il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, e di quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini. Ed è questo, per la verità, un orientamento giurisprudenziale che ha assunto, adesso, veste di diritto positivo in ragione del nuovo articolo 1118 codice civile, comma 4, così come modificato dalla Legge n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc.dd. riforma del condominio, il quale ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento qualora questi dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini.
In altri termini, e in sintesi, il condomino, dopo aver distaccato la propria unità abitativa dall’impianto di riscaldamento centralizzato, continuando a rimanere comproprietario dell’impianto centrale, continua ad essere obbligato a sostenere gli oneri relativi alla manutenzione e all’adeguamento del bene stesso, salva la possibilità di esonero con il consenso unanime di tutti i condomini, nonchè continua ad essere obbligato a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico degli altri condomini, perchè se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non è diminuito e se la quota non fosse posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato.”
Secondo la Corte, pertanto, nel concetto di “aggravio di spesa” vanno comprese quelle spese di godimento escluse dall’ultimo periodo del comma in esame e che il distaccato è tenuto a pagare.
Successivamente all’introduzione della contabilizzazione, per la cui determinazione l’articolo 9 comma 5 lettera d) del D.Lgs. 102/2014 rinvia all’utilizzo della norma tecnica di settore UNI CTI 10200, tale voce coincide con la così detta “quota fissa” (cioè la spesa per potenza termica impegnata). A questa occorrerà fare riferimento per individuare l’importo che il condomino distaccatosi è obbligato a pagare.
Sino ad allora, il calcolo per individuare le voci indicate dovrà essere effettuato a spese del condomino che ha proceduto al distacco.
Informazione preventiva all’amministratore e discussione in assemblea
Nel caso di cui all’articolo 1118 comma IV non è espressamente previsto l’obbligo di preventiva informazione all’amministratore o all’assemblea.
Occorre però collocare questo intervento nel più ampio contesto determinato dalle complessive modifiche alla disciplina degli edifici in condominio.
Potrebbe pertanto non essere fuori luogo richiamare l’articolo 1122 del codice civile, il quale ha diversamente disciplinato il rapporto tra singolo condomino e assemblea nell’esecuzione delle opere all’interno dell’unità immobiliare.
La lettura potrebbe portare a ritenere che la norma in esame possa trovare applicazione anche nel caso di distacco.
L’articolo 1122 codice civile, sotto la rubrica “Opere su parti di proprietà o uso individuale”, al primo comma, prevede che “nell’unità immobiliare di sua proprietà (...), il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni (...)”. Nel caso che ci occupa, il limite dei “danni” è già stato previsto dal legislatore con la locuzione “notevoli squilibri”.
Il secondo comma prevede altresì che “in ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
Il Legislatore ha così previsto una sorta di filtro per l’uso della cosa comune da parte del singolo condomino, prima della riforma del tutto inesistente.
Sembrerebbe pertanto di poter affermare che non è possibile procedere al distacco se prima non è stata data notizia all’amministratore il quale deve riferire all’assemblea. L’obiettivo prefissato dal legislatore è quello di rendere edotti i condomini di qualsiasi attività che vada ad incidere sulle parti comuni.
I partecipanti al condominio non saranno convocati per dare autorizzazioni, ma dovranno (o almeno saranno messi nelle condizioni di) esaminare la questione ed accertarsi che i limiti di legge vengano rispettati.
In assenza di tale prova, l’assemblea, si ritiene, potrà vietare il distacco sino a che non verrà prodotta idonea documentazione. Questa dovrà essere fornita dal distaccante in forza del principio introdotto dall’articolo 2697 comma 1 codice civile, secondo il quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
Nel caso in cui il condominio non ritenesse sufficiente o contestasse la relazione peritale, dovrà nominare (a proprie spese) un perito ed, eventualmente, instaurare un contenzioso con il condomino che, invece, ritiene sussistenti i requisiti.
Le operazioni di distacco
Ai sensi dell’articolo 6 commi 1 e 3 del D.P.R. 74/2013, il “terzo responsabile” è responsabile per l’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell’impianto termico, il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica, il mancato rispetto delle norme relative all’impianto termico in particolare in materia di sicurezza e di tutela dell’ambiente.
Da quanto sopra, se ne potrebbe desumere che l’intervento di distacco debba essere effettuato dal terzo responsabile o (almeno) sotto la sua supervisione, non potendo il tecnico del singolo condomino manomettere alcunché di propria iniziativa.
E’ pur vero che materialmente il “distacco” avviene dopo il punto di diramazione ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile, tuttavia, come l’articolo 1118 comma IV stesso riconosce, questa operazione va ad incidere sull’impianto complessivo.
Regolamento di condominio
L’articolo 1118 comma IV non è tra gli articoli del codice civile inderogabili ai sensi dell’articolo 1138 del codice civile. Ci si chiede pertanto se il regolamento del condominio (avente natura contrattuale) possa prevedere il divieto di distacco.
Sul punto non può non essere oggetto di attenzione la sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. II, 29.09.2011, n. 19893 secondo la quale:
“ai fini del distacco dal riscaldamento centralizzato, non osta la natura contrattuale della norma impeditiva contenuta nel regolamento di condominio, poichè questo è un contratto atipico le cui disposizioni sono meritevoli di tutela solo ove regolino aspetti del rapporto per i quali sussista un interesse generale dell’ordinamento. Pertanto, il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’art. 1138 c.c., comma 4, e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga alle disposizioni dell’art. 1102 c.c., non dichiarato inderogabile. Il che non è ravvisabile, anzi è il contrario, quanto al distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato ed alla loro trasformazione in impianti autonomi, per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, giacchè proprio l’ordinamento ha mostrato di privilegiare, al preminente fine d’interesse generale rappresentato dal risparmio energetico, dette trasformazioni e, nei nuovi edifici, l’esclusione degli impianti centralizzati e la realizzazione dei soli individuali; in secondo luogo, giacchè la ratio atipica dell’impedimento al distacco, riscontrata dal giudice a quo, non può meritare la tutela dell’ordinamento in quanto espressione di prevaricazione egoistica anche da parte d’esigua minoranza e di lesione dei principi costituzionali di solidarietà sociale”.
In senso contrario, però, si cita Cassazione Civile, Sez. II, 21.05.2001, n. 6923. Sul punto occorre qualche riflessione attesa l’importanza del principio espresso.
L’articolo 1118 comma IV prevede il diritto di distaccarsi a condizione che venga rispettato (tra l’altro) il requisito dell’assenza di “notevoli squilibri”.
E’ una norma che, sostanzialmente, autorizza un condomino ad intervenire su un bene ed un servizio comune anche incidendo sulla sua funzionalità sino alla soglia del “notevole”, dando quindi al condomino la possibilità di recare un consistente pregiudizio.
Gli aspetti in gioco sono quindi due: da una parte il diritto al distacco, e dall’altra il diritto dei condomini a non vedersi pregiudicato neppure in minima parte il bene comune ed il conseguente servizio. Non si dimentichi, però, l’aspetto pubblicistico che vede l’operazione andare in contrasto con la norma che prevede una progettazione tesa a contenere al massimo i consumi energetici, considerando il conseguente avvenuto sovradimensionamento del generatore ed il “possibile” peggioramento del rendimento di produzione.
La Cassazione richiamata ha interpretato la norma contenuta nel regolamento avente natura contrattuale quale divieto a risparmiare (ed in quanto tale non meritevole di tutela).
Il regolamento contrattuale, però, potrebbe essere interpretato nel senso di dare maggior forza alla volontà dei condomini di prevedere il divieto di recare pregiudizi in assoluto ad un bene (ed al conseguente servizio) comune. Così come può accadere per il decoro o, in un certo senso, per il divieto (ad esempio) di destinare l’unità immobiliare ad un uso diverso (anche in questo caso, di fatto, vietando un diverso sfruttamento economico del bene).
Si ricordi inoltre che la Cassazione ha considerato valida la norma del regolamento avente natura contrattuale che deroga all’articolo 1102 Codice Civile (cfr Cassazione Civile, Sez. II, 29.12.2004, n. 24146; Cassazione Civile, Sez. II, 09.11.1998, n. 11268). La ratio appare essere la stessa: tutelare il bene comune.
Oltre a quanto sopra, potrebbe forse assumere importanza il fatto che il Legislatore, successivamente alla citata sentenza, è intervenuto introducendo la possibilità del distacco con l’articolo 1118 comma IV e, contestualmente, non ha modificato l’articolo 1138 del codice civile in materia di norme non derogabili. Se ne potrebbe desumere che, forse, il legislatore non aveva intenzione di privare i condomini della loro autonomia.
IL DISTACCO EFFETTUATO DAL CONDOMINIO NEI CONFRONTI DEL CONDOMÌNO MOROSO
Diversi sono i motivi che possono spingere un condomino alla determinazione di volersi distaccare dall’impianto centralizzato ed affrontare i costi ed il disagio della risistemazione impiantistica nella propria unità immobiliare a seguito dell’installazione di un impianto termico individuale.
Una causa potrebbe essere il (presunto) risparmio economico. Altra motivazione potrebbe però trovare il proprio fondamento nella contingente situazione economica che vede in aumento la morosità dei condomini con conseguente difficoltà a provvedere all’integrale pagamento delle forniture del combustibile. Si sono infatti già verificati casi nei quali, atteso il mancato integrale pagamento, il fornitore ha provveduto alla sospensione dell’erogazione in danno anche dei condomini adempienti.
Al fine di evitare, così, di trovarsi al freddo nonostante il pagamento, alcuni condomini potrebbero decidere di distaccarsi.
In questi casi, uno strumento utile per il condominio, rafforzato dalla Riforma, è l’articolo 63 comma III delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile, secondo il quale “In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”.
Occorre però fare qualche riflessione sulla possibilità di privare il condomino del servizio del riscaldamento.
Nel caso in cui siano già state installate le valvole termostatiche, il diritto alla privazione del servizio potrebbe essere esercitato a mezzo del “blocco” delle valvole stesse. Tale attività non comporta conseguenze sul resto dell’impianto il quale è già stato progettato per far fronte al mancato prelievo di calore in un’intera unità immobiliare. Al condomino moroso continuerà ad essere addebitata la così detta “quota fissa” (evitando, così, l’aggravio di spesa a carico degli altri condomini) ma, almeno, gli sarà sottratta la possibilità di godere del calore all’interno dell’abitazione.
Diverso è il caso in cui le valvole ancora non sono state installate. In tale circostanza si dovrebbero porre alcune cautele atteso il riflesso che il distacco ha non solo in ossequio delle norme di natura privatistica (divieto di aggravio di spesa o di procurare un notevole squilibrio di funzionamento ecc.) ma anche di quelle aventi natura pubblicistica in materia di contenimento dei consumi energetici.
Le condizioni ed i limiti indicati dall’articolo 1118 comma IV e dalle norme di settore di cui alla presente trattazione, dovrebbero trovare applicazione anche nel caso in cui il distacco sia promosso dall’amministratore in caso di morosità del condomino.
Se così fosse, prima di procedere all’operazione, l’amministratore dovrà incaricare un tecnico che svolga tutte le indagini ed i calcoli sopra richiamati.