Riflessioni
L’UNI, senza sentire il gruppo di lavoro che l’ha prodotta, ha ritenuto di modificare la norma UNI 10200 sulla base di “un presunto contrasto” con la norma UNI EN 834 e di pubblicare la versione UNI 10200-2015 togliendo alcune frasi che la rendono, ora, certamente in contrasto con la Direttiva 2012/27/UE e quindi inadatta per rispondere alle esigenze del suo decreto di recepimento, il D.Lgs. 102/2014.
Va innanzitutto chiarito che l’obiettivo della CT 271 (commissione tecnica incaricata di produrre la norma UNI 10200) è stato, ed è, quello di produrre una norma che definisca un criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento conforme ai requisiti dalla legislazione italiana (D.Lgs. 102/2014, Legge 10/1991 e Codice Civile).
In linea con tali intendimenti ha quindi previsto la contabilizzazione diretta e, dove questa non è applicabile per ragioni tecniche o economiche, la contabilizzazione indiretta.
A tale fine ha tenuto conto del possibile utilizzo dei dispositivi considerati dalla legislazione vigente, ossia ripartitori conformi alla norma UNI 10388, alla norma UNI 9019 ed alla norma UNI EN 834.
In particolare, per poter utilizzare i dispositivi conformi alla norma UNI EN 834 nel rispetto della Direttiva, ha dovuto introdurre nella norma UNI 10200 qualche prescrizione aggiuntiva, rispetto a quelle previste dalla norma UNI EN 834 stessa.
Si tratta in ogni caso di migliorie che, lungi dal modificare le finalità e lo spirito della norma UNI EN 834, la integrano e la rendono conforme anche ai requisiti richiesti dalla Direttiva e dalla nostra legislazione.
Si tratta di prescrizioni che non modificano il prodotto: si precisa come determinare la potenza del radiatore e si prevede di inserire nel ripartitore i relativi parametri Kc e Kq (o il K complessivo) di programmazione, in modo che il display visualizzi delle unità di ripartizione proporzionali al consumo per la corretta informazione dell’utilizzatore.
Inutile dire che il gruppo di lavoro, a larga maggioranza, non è d’accordo con l’operato dell’UNI e non vede alcun punto di contrasto fra la norma UNI 10200 e la norma UNI EN 834 in quanto si tratta di due norme aventi scopi diversi.
Mentre la norma UNI EN 834 è una norma di prodotto, rivolta ai produttori, che prevede una serie di prove da effettuare sul ripartitore per determinarne la precisione nel rilevare la temperatura del radiatore, il valore del coefficiente Kc per alcune tipologie di radiatori e per verificarne la funzionalità, la norma UNI 10200 è invece una norma relativa alla ripartizione delle spese dei servizi di riscaldamento, raffrescamento ed acqua calda sanitaria che prevede anche l’uso dei ripartitori.
L’utilizzatore che accetta ed acquista il prodotto conforme alla norma UNI EN 834, lo deve ovviamente utilizzare con modalità tali da rispettare la Direttiva europea e le leggi nazionali; diversamente, non lo potrebbe utilizzare. Sembra difficile non capirlo.
Ma quello che maggiormente stupisce, è che non è una novità l’emissione di norme italiane migliorative rispetto a norme europee, anche nel caso in cui queste regolino lo stesso argomento: è il caso per esempio delle norme UNI TS 11300-1, 2, 3, 4, 5 e 6, che si ispirano alla normativa europea prodotta a supporto della direttiva EPBD, che hanno l’identico scopo, ossia il calcolo della prestazione energetica degli edifici, ma che, rispetto alla serie di norme europee, hanno ordinato la materia in modo più razionale e comprensibile, tenendo conto dell’esperienza italiana.
Questa operazione è stata sempre apprezzata, in Italia ed in Europa, nonostante che in alcuni aspetti la serie delle norme UNI 11300 si scosti sensibilmente dalla serie di norme a supporto della EPBD, mentre la norma UNI 10200 non può proprio scostarsi dalla norme UNI EN 834 perché parla d’altro.
In entrambi i casi vengono rispettati i principi e, nel caso della norma UNI EN 834, che è norma di prodotto, si accettano e si utilizzano i prodotti dalla stessa previsti ove non in contrasto con la legislazione italiana.
Le conseguenze di questo errore sono gravi perché:
- danneggiano gli operatori Italiani;
- consentono ad alcuni operatori di operare in contrasto con la legislazione italiana facendo concorrenza sleale a quelli che vogliono agire nel rispetto delle leggi;
- generano una grave turbativa nel mercato generando gravi incertezze fra gli operatori;
- ritardano, con discussioni senza fine, la correzione degli errori contenuti nella norma UNI 10200 provocando un grande numero di contenziosi.
E poi, il “presunto contrasto”, dura dal giugno 2015 senza che l’UNI abbia fornito alcuna risposta alle decine di raccomandate di soci CTI ed UNI che contestano la decisione unilaterale di modifica della norma.
Il C.T.I. (l’ente federato competente per materia), da parte sua sembra totalmente soggetto alle decisioni UNI e pone vincoli alla CT 271 creando ostacoli ad una revisione della norma, che sia libera espressione del Comitato Tecnico competente.
Da qualche tempo sta mettendo in dubbio anche il “metodo dimensionale” che da 22 anni l’UNI vende insieme alle sue norme, senza che nessuno abbia mai segnalato casi di inaffidabilità in tutto questo tempo. Questo è troppo.
Appare strano condannare qualcuno per un semplice sospetto. Senza contare che bloccare tutto ciò che è presunto contrasto, sulla parola di una sola parte, vuol dire dargli, di fatto, il diritto di veto incondizionato. E’ un curioso modo di discutere ed ottenere il consenso.
La cosa è sicuramente anomala; troppo anomala. Nonostante le ripetute richieste, non è dato ottenere né dall’UNI, né dal CTI, i verbali di tali decisioni, nei quali compaiono le motivazioni ed i nomi di chi ha assunto tali decisioni.
Che cosa devono pensare i soci CTI componenti della CT 271 di fronte a tali anomalie e a tali reticenze? maleducazione? arroganza? non sarebbero le ipotesi peggiori. Potrebbe anche essere che il “presunto contrasto” non sia la vera causa delle decisioni, ma che costituisca solo la scusa per affossare una norma, la UNI 10200, che forse è scomoda a qualcuno.
Ipotesi fantasiosa? Forse, ma alimentata dai troppi misteri. Un po’ più di chiarezza potrebbe forse ripristinare la fiducia.