Lo spegnimento degli impianti termici: un vantaggio o uno svantaggio?

Lo spegnimento degli impianti termici: un vantaggio o uno svantaggio?

Il tema della conduzione dell’impianto termico (funzionamento continuo, spegnimento o attenuazione) genera talvolta alcuni dubbi: come conviene operare?

Premessa

Spesso accade di domandarsi, da parte degli utenti o dei gestori, quale sia la modalità migliore per condurre in modo efficace l’impianto termico: è meglio adottare il funzionamento continuo (impianto sempre acceso) o è preferibile ricorrere al funzionamento intermittente (con spegnimento o attenuazione)? Qual è l’impatto della conduzione adottata sul comfort abitativo e sui consumi energetici?
Va evidenziato innanzitutto che sussistono, al riguardo, prescrizioni legislative e normative, che devono essere considerate. Ma come talvolta capita, le leggi e le norme si prestano a molteplici letture e vanno, pertanto, correttamente interpretate e applicate, tenendo conto dei principi fisici e dell’esperienza pratica, così da non incorrere in errori o in utilizzi inadeguati.

Cosa dice la legge

La conduzione dell’impianto di riscaldamento è regolamentata, a livello legislativo, dal D.P.R. 74/13, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 27.06.13. Quest’ultimo disciplina infatti, all’art. 4, oltre ai limiti relativi alla temperatura interna degli ambienti (comma 1), che deve essere paria 20 °C + 2°C di tolleranza (18 °C in caso di edifici industriali o artigianali), anche i limiti di esercizio dell’impianto (comma 2), specificandone il periodo annuale e le ore giornaliere di attivazione, in funzione della zona climatica, come riassunto nel prospetto seguente.

Prospetto 1 Limiti di esercizio degli impianti di riscaldamento (secondo D.P.R. 74/13, art. 4)

Zona climatica

Periodo annuale di attivazione

Ore giornaliere di attivazione [h/g]

A

Dal 1° dicembre al 15 marzo

6

B

Dal 1° dicembre al 31 marzo

8

C

Dal 15 novembre al 31 marzo

10

D

Dal 1° novembre al 15 aprile

12

E

Dal 15 ottobre al 15 aprile

14

F

Nessuna limitazione

Nessuna limitazione

La “ratio” della legge appare dunque quella di risparmiare energia e di contenere i consumi di combustibile. Tale “ratio” viene perseguita attraverso una riduzione della temperatura dell’ambiente e dei tempi di accensione dell’impianto.

Esulano dalle disposizioni predette determinate categorie di edifici (comma 5), tra cui ad esempio: ospedali, scuole, piscine, ecc. È inoltre possibile derogare alle medesime disposizioni, limitatamente alle ore giornaliere di attivazione dell’impianto, nelle casistiche di seguito descritte (comma 6, lettere da a ad h):

a) edifici adibiti a uffici o attività commerciali, con riguardo alle porzioni destinate ad usi privi di interruzione giornaliera;

b) impianti che utilizzino calore proveniente da centrali di cogenerazione (produzione combinata di calore ed elettricità);

c) impianti provvisti di pannelli radianti incassati in muratura;

d) impianti asserviti esclusivamente agli edifici di cui al comma 5 (esclusioni) e dotati di un circuito primario per la produzione di acqua calda sanitaria, al fine di mantenere nel predetto circuito una temperatura dell’acqua compatibile con il funzionamento dei circuiti secondari nelle tempistiche previste;

e) ed f) impianti centralizzati (asserviti a più unità immobiliari residenziali), i quali, ai fini della regolazione della temperatura ambiente su almeno due livelli nell’arco delle 24 ore (casistiche tra loro alternative):

  • siano dotati di un gruppo termoregolatore centralizzato, provvisto di una sonda di rilevamento della temperatura esterna e di un programmatore giornaliero (tali impianti possono essere condotti in esercizio continuo, a condizione che il programmatore venga tarato e sigillato per il raggiungimento, al di fuori delle ore giornaliere di attivazione consentite, di una temperatura ambiente pari a 16 °C + 2°C di tolleranza);
  • siano provvisti, in ogni singola unità immobiliare, di un sistema di contabilizzazione del calore e di un sistema di termoregolazione, quest’ultimo dotato di un programmatore giornaliero;

g) impianti autonomi (asserviti a singole unità immobiliari residenziali), i quali siano dotati di un sistema di termoregolazione con programmatore giornaliero, che consenta la regolazione della temperatura ambiente su almeno due livelli nell'arco delle 24 ore, oltreché lo spegnimento del generatore di calore in base alle necessità dell'utente;

h) impianti condotti mediante "contratti di servizio energia", i cui corrispettivi siano correlati al raggiungimento del comfort ambientale entro i limiti posti dal decreto, a condizione che si provveda, al di fuori delle ore di attivazione giornaliere consentite, ad attenuare la potenza erogata dall'impianto (temperatura ambiente pari a 16 °C + 2 °C di tolleranza).

Va quindi rimarcato come, sia in caso di impianti centralizzati sia in caso di impianti autonomi, la legge consenta di derogare allo spegnimento dell’impianto, purché si disponga di appositi sistemi di regolazione della temperatura ambiente e di attenuazione della potenza dell’impianto.

Approfondimento: che cosa dice la regolamentazione lombarda?

Il tema della conduzione dell’impianto è disciplinato, in Lombardia, dalla Delibera n. XI/3502, oltreché dall’ordinanza sindacale del Comune di Milano n. 65 del 5 ottobre 2023. Di tali provvedimenti, il primo riprende quanto definito dal D.P.R. 74/13, mentre il secondo introduce ulteriori restrizioni, riducendo:

  • il periodo di esercizio stagionale all’intervallo 22 ottobre - 13 aprile;
  • il periodo di funzionamento giornaliero a un massimo di 13 ore, comprese tra le ore 05.00 e le ore 23.00;
  • la temperatura media dell’aria a 19 °C + 2 °C di tolleranza (invariato il limite di 18°C + 2°C di tolleranza per gli edifici industriali e artigianali).
Cosa dicono le norme tecniche

Il calcolo dell’intermittenza degli impianti di riscaldamento è disciplinato, dal punto di vista normativo, dalla UNI EN ISO 52016-1 (che sostituisce la precedente UNI EN ISO 13790). Secondo tale norma l’effetto dell’intermittenza (spegnimento o attenuazione) si traduce in una riduzione del fabbisogno termico, espressa attraverso un fattore correttivo (finterm). La norma consente infatti la simulazione di molteplici “eventi di intermittenza”, contraddistinti da altrettanti profili giornalieri di attivazione dell’impianto. Nel flusso di calcolo dei fabbisogni si distinguono quindi, ai sensi della specifica tecnica UNI/TS 11300-2, i seguenti termini:

  • QH,nd → fabbisogno ideale del fabbricato (involucro edilizio), senza considerare la presenza degli impianti;
  • QH,sys → fabbisogno ideale dell’edificio (fabbricato e impianti), tenuto conto degli eventuali ventilazione e recupero di calore;
  • QH,interm → fabbisogno corretto per intermittenza, tenuto conto dell’eventuale spegnimento o attenuazione;
  • Q’H → fabbisogno in uscita dal sottosistema di emissione, al netto dei recuperi dovuti all’impianto di acqua calda sanitaria;
  • QH,em,in → fabbisogno in ingresso al sottosistema di emissione, comprensivo cioè delle corrispondenti perdite;
  • QH,cont → fabbisogno comprensivo dell’eventuale fattore correttivo per contabilizzazione;
  • QH,gen,in → fabbisogno in ingresso al sottosistema di generazione (energia consegnata dai vettori energetici), comprensivo delle perdite di tutti gli ulteriori sottosistemi impiantistici (distribuzione di utenza, accumulo, distribuzione primaria, generazione).

Va tuttavia evidenziato, ai sensi delle specifiche tecniche UNI/TS 11300, come occorra tener contro del funzionamento intermittente, ai fini della simulazione dell’edificio, solo in caso di valutazione A3 (adattata all’utenza) ossia, ad esempio, nell’ipotesi di diagnosi energetica. In caso di valutazione A1/A2 (di progetto/standard), caratteristica delle applicazioni regolamentari (verifiche di legge e APE), occorre invece ipotizzare sempre il funzionamento continuo.
Il funzionamento intermittente (con spegnimento o attenuazione) dell’impianto determina quindi, effettivamente, una riduzione del fabbisogno e un miglioramento del comfort? Vediamo ora cosa si riscontra nell’esperienza pratica.

Cosa dice l’esperienza pratica

Nell’esperienza pratica si riscontra, in realtà, come spesso la riduzione della temperatura dell’ambiente e lo spegnimento dell’impianto non rappresentino un vantaggio, bensì comportino alcune criticità, tra cui ad esempio:

  • la riduzione del comfort termico, con ricadute negative sul benessere degli occupanti;
  • un incremento dei consumi, sia per la necessità di ricorrere a sistemi di riscaldamento aggiuntivi (es. stufette elettriche) sia per il fatto che l’impianto, a valle del periodo di spegnimento prolungato, deve compensare il raffreddamento di tutte le masse coinvolte (generatori, tubazioni, corpi scaldati, pareti, arredamenti).

Qual è dunque la soluzione migliore? L’opzione preferibile sembrerebbe quella di perseguire il corretto equilibrio tra il risparmio energetico e il comfort ambientale, ricorrendo a una conduzione avveduta e sfruttando l’evoluzione delle tecnologie impiantistiche. Quanto sopra nel rispetto non solo della “ratio” della legge (il risparmio energetico), ma anche, tra l’altro, delle casistiche di deroga da questa stessa prospettate.
Appurato dunque che lo spegnimento notturno non conduce a particolari benefici, ma determina semmai contropartite negative, ciò che appare consigliabile è il ricorso a un regime di attenuazione, associato, però, a un’adeguata regolazione della temperatura ambiente. Al riguardo la legge prevede, come già anticipato al precedente paragrafo, due differenti opzioni (di cui al D.P.R. 74/13, art. 4, comma 6, e alla Delibera n. XI/3502, art. 7, comma 11), così sintetizzabili:

  • regolazione centralizzata della temperatura di mandata;
  • termoregolazione e contabilizzazione di zona.

In entrambi i casi, viene richiesta la conformità a determinati requisiti, così sintetizzabili:

  • il rispetto dei limiti relativi alla temperatura ambiente (limiti, tra l’altro, non certo verificabili dal conduttore dell’impianto, ma sottoposti alla responsabilità dei singoli utenti).
  • una regolazione della temperatura ambiente su almeno due livelli nell’arco delle 24 ore.

Le opzioni predette presentano, tuttavia, a loro volta, ai fini del conseguimento dei requisiti richiesti, alcune criticità applicative, vale a dire:

  • la regolazione centralizzata non consente un controllo diretto della temperatura ambiente, ma solo un’influenza indiretta;
  • al fine di realizzare un controllo effettivo della temperatura ambiente, mantenendola su almeno due livelli nell’arco delle 24 ore, occorrerebbe, a rigore, una termoregolazione evoluta (cronotermostato o valvole motorizzate), non sempre applicabile (l’utilizzo del cronotermostato richiede, ad esempio, la presenza di un impianto ad anello).

Vanno inoltre ricordate le ulteriori opzioni di deroga previste dalla legge, tra cui, ad esempio, il caso del servizio energia, rispetto alle quali, fermo restando il rispetto dei limiti relativi alla temperatura dell’ambiente, non vengono invece posti particolari vincoli.

Considerate tutte le criticità sopra esposte, si conferma quindi come la strategia migliore, al fine di non applicare pedissequamente la legge, ma di rispettarne la “ratio” sottostante, oltreché di salvaguardare il comfort ambientale, sia quella di ricorrere a un regime di attenuazione, il quale deve essere abbinato a una regolazione quanto più possibile accurata, sia della temperatura di mandata sia di quella dell’ambiente, compatibilmente con il caso specifico.
A tale scopo, occorre dotare l’impianto di tutte le necessarie apparecchiature, volte a massimizzare l’efficienza e a ottimizzare la regolazione, costituite ad esempio, nel caso di un impianto a radiatori, dalle seguenti:

  • caldaia a condensazione;
  • regolazione climatica centralizzata, programmabile su almeno due livelli della temperatura di mandata ai corpi scaldanti;
  • valvole termostatiche (ove possibile motorizzate o abbinate a cronotermostati) e ripartitori sui singoli corpi scaldanti.

Approfondimento: che cosa dice la fisica?

La regola dello spegnimento notturno ai fini del risparmio energetico produce tipicamente, nell’esperienza pratica, più inconvenienti che vantaggi. Per quale ragione? Quali sono i principi fisici alla base di tale fenomeno? Ecco alcune considerazioni.
Se gli edifici fossero costruiti con lamierino sottile, il risparmio sarebbe sostanziale e innegabile in quanto, all’atto dello spegnimento dell’impianto, l’edificio si raffredderebbe e smetterebbe quindi di disperdere calore.
Ma gli edifici reali, costruiti in muratura, presentano un’inerzia tale da vanificare ogni risparmio. Il meccanismo è il seguente: durante lo spegnimento notturno la temperatura esterna dell’involucro edilizio non cambia e continua quindi a disperdere la stessa quantità di energia. Solo la superficie interna di tutte le pareti dei locali (non solo quelle rivolte verso l’esterno) cede calore, per compensare l’effetto del ricambio d’aria, rendendo l’ambiente meno confortevole.
Alla ripresa del riscaldamento, al fine di riportare la temperatura degli ambienti al valore previsto, il calore erogato deve innanzitutto ripristinare la temperatura superficiale delle pareti interne, consumando la stessa quantità di energia che si era creduto di risparmiare durante lo spegnimento. Tutto ciò si accentua negli edifici maggiormente isolati, pesanti e inerti, vanificando ancor più lo spegnimento ai fini del risparmio.
Quanto sopra in linea generale, sebbene l’argomento possa essere naturalmente approfondito analizzando nel dettaglio specifiche tipologie di edifici, tenendo conto, ad esempio, delle superfici vetrate, meno inerti.
Ci si può inoltre avvedere che, in taluni casi, in particolare con edifici molto isolati e riscaldati con pompe di calore, può essere addirittura conveniente erogare calore nelle ore notturne, più fredde, e interrompere l’erogazione nelle ore pomeridiane, contraddistinte da apporti solari sensibili.
In ogni caso, l’imposizione dello spegnimento notturno per tutti gli edifici appare come una regola inefficace, essendo tale da ridurre il benessere, che è lo scopo dell’impianto, senza contropartite utili.

Conclusioni

In conclusione, il regime di attenuazione (diurna o notturna) rappresenta l’opzione migliore per tenere in “stand-by” il calore contenuto nella “massa” dell’edificio (fabbricato e impianti), consentendo una ripresa più rapida ed economica verso il regime continuo (non attenuato).

Proprio nel rispetto della “ratio” sottostante alle disposizioni legislative, conviene dunque, da un lato, dotare l’impianto delle adeguate tecnologie, dall’altro, concordare con il conduttore/gestore la modalità di funzionamento più efficace, che permetta di conseguire tanto il risparmio energetico quanto il comfort ambientale.

Pubblicato il: 13/06/2024
Autore: Donatella Soma – Amministratore, supporto tecnico, editoria e normativa Edilclima